Tenzone sulla “natura d’amore”

Iacopo Mostacci – Piero della Vigna – Giacomo da Lentini

     È noto che i poeti tenzonavano tra di loro, scambiandosi soprattutto sonetti e rispondendosi “per le rime”, in una sorta di dialogo a distanza – anche cronologica.

     La tenzone tra i tre rimatori è di certo avvenuta a corte – sebbene quella di Federico II fosse una corte itinerante. La fama dei tre sonetti che compongono la tenzone si spingerà fino agli stilnovisti e a Petrarca. Molti studiosi vi hanno visto i prodromi del genere “canzoniere”.

     Da un punto di vista strutturale, ogni canzoniere è una successione lineare i cui microtesti si integrano a vicenda, collaborando così alla realizzazione di un senso complessivo. Esso scaturisce dal posto che ciascuna lirica occupa nell’insieme: la costituzione del senso diviene progressiva. Inoltre, la coerenza testuale si esprime sia nei contenuti sia sul piano dell’espressione: il progetto formale necessita di omogeneità.

     L’autonomia che la parola poetica aveva acquisito, emancipandosi dal rapporto con la musica – il divorzio musica-poesia si era di fatto consumato presso la Magna Curia –, la comparsa dell’“io lirico” e l’avvio di una indagine sull’uomo interiore, permettevano di sviluppare nuove forme di aggregazione testuale, come la tenzone, la silloge di sonetti, il canzoniere.

     Pur costituendo una forma chiusa, il sonetto, per la sua brevità, si prestava a innestarsi in un organismo più ampio, sul quale riversa il suo potenziale svolgimento semantico. Esito della parola scritta su quella cantata, il sonetto gioca il ruolo principale del genere lirico e delle sue forme. Una di queste è la tenzone.

     Apre questa silloge Iacopo Mostacci (falconiere reale di Federico II), il quale solleva un dubbio sulla natura d’amore e sulla sua incorporeità. Piero, rispondendo, si fa portavoce di una concezione dell’amore fortemente “sostanzialistica” (amore “accidente in substantia”), riportando la questione sulla fenomenologia amorosa, stante l’auctoritas del De amore di Andrea Cappellano. Giacomo collega la questione sulla natura di amore a quello della visibilità di madonna, e quindi della sua “sostanzialità” – pur ammettendo qualche eccezione. In questo “dialogo”, il Notaro assume una vera e propria posizione di sentenziatore, come nelle tenzoni provenzali (jutjarsentenzïare), dove era richiesto un giudice terzo. Sulla base dell’autorità espressa dal De amore, Giacomo riconosce la forza di quell’amore che esclusivamente nasce dagli occhi e viene nutrito dal cuore: l’immoderata cogitatio.

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