Metro

     Contrasto formato da trentadue strofe pentastiche di cinque versi formate da un tristico di alessandrini rimati (il primo emistichio è sdrucciolo, il secondo è piano) e da un distico di endecasillabi a rima baciata. Alla fine di ogni strofa, viene proposto un nuovo motivo che trova risposta negli alessandrini immediatamente seguenti della strofa successiva e così via, secondo lo schema delle coblas capfinidas.

Il metro adoperato rende il ritmo mosso della petitio amoris – secondo i modelli di richieste amorose maschili e di dinieghi femminili proposti dal De amore di Andrea Cappellano.

Schema: A(14), A(14), A(14); B(11), B(11).

PARAFRASI

Rosa fresca profumatissima che appari verso l’estate, le donne ti desiderano, nubili e sposate: toglimi da questo fuoco se è tua volontà; per causa tua non ho pace notte e giorno, pensando sempre a voi, mia signora.

Se ti tormenti per me, la pazzia te lo fa fare. Potresti arare il mare, seminare ai venti, accumulare tutta quanta la ricchezza di questo mondo: non potresti avermi in questa vita; piuttosto mi taglio i capelli (per entrare in convento).

Se ti tagli i capelli, che io sia ucciso prima, perché con essi io perderei la mia gioia e il mio piacere. Quando passo di qui e ti vedo, fresca rosa dell’orto, mi dai sempre grande piacere: decidiamo che il mostro amore si congiunga.

Non voglio che mi piaccia che il nostro amore si congiunga: se mio padre con gli altri miei parenti ti trova qui, bada che questi forti corridori non ti raggiungano. Come ti piacque il venire qui, ti consiglio di fare attenzione alla partenza.

Se i tuoi parenti mi trovano, e che mi possono fare? Gli assegno una multa di duemila augustali: tuo padre non mi toccherebbe per quante ricchezze che vi sono in Bari. Viva l’imperatore, grazie a Dio! Capisci, bella, quel che ti dico?

Tu non mi lasci vivere né sera né mattino. Io sono una donna che possiede bisanti d’oro e oro massamutino. Se tu mi dessi tanta ricchezza quanta ne ha il Saladino, e in aggiunta quanta ne ha il Sultano, non mi potresti sfiorare nemmeno la mano.

Le femmine che hanno la testa dura sono molte, e l’uomo con le parole le domina e le persuade; tanto la incalza da tutti i lati finché la ha in suo potere. La femmina non può fare a meno dell’uomo: stai attenta, bella, di non doverti pentire.

Che io me ne dovessi pentire? Possa essere piuttosto uccisa, che alcuna femmina onesta sia rimproverata per causa mia! Tempo fa sei passato di qua, correndo a più non posso. Prenditi riposo, “giullare”: a me le tue parole non piacciono affatto.

Quanti sono i dolori che mi hai messo nel cuore, anche solo pensandoci il giorno quando esco! Non ho mai amato una femmina di questo mondo tanto quanto amo te, oh rosa desiderata: credo veramente che tu mi sei stata destinata.

Se a te fossi destinata, cadrei dalla mia altezza, che sarebbero sprecate con te le mie bellezze. Se mi succedesse tutto ciò, mi taglierei le trecce e mi farei suora in un convento, piuttosto che tu mi tocchi nel corpo.

Se tu ti fai suora, oh donna dal viso luminoso, vengo al convento e mi faccio frate: lo farei volentieri per superare per te una simile prova. Starei con te la sera e il mattino: è necessario che io ti abbia in mio potere.

Ohimè, misera infelice, che destino crudele ho! L’altissimo Gesù Cristo è adirato con me fortemente: mi hai concepita per incontrare un uomo sacrilego. Percorri la terra che è tanto grande, troverai una donna più bella di me.

Ho percorso Calabria, Toscana e Lombardia, Puglia, Costantinopoli, Genova, Pisa e Siria, Germania e Baghdad (o Il Cairo) e tutta l’Africa del nord: non vi ho trovato nessuna donna altrettanto cortese, per cui ti ho scelta come mia signora.

Dato che ti sei tormentato tanto, ti prego di andare a richiedermi in sposa a mia madre e a mio padre. Se degnano di darmi in mogli a te, conducimi in chiesa, e sposami pubblicamente, e poi obbedirò ai tuoi desideri.

Di quello che dici, vita mia, non ti vale nulla, che delle tue parole ne ho fatto ponti e scale: ha preteso di mettere le penne, ma ti sono cadute le ali; e ti ho dato il colpo di grazia. Dunque, se riesci, mantieniti scortese.

Io non temo nessuna macchina da guerra: rimango salda nella gloria di questo castello, valuto le tue parole meno di una moneta di bassa lega. Se non ti muovi e te ne vai via da qua, anche se tu morissi, ben mi piacerebbe.

Dunque, vorresti, vita mia, che per te fossi distrutto? Se dovessi morire o essere ferito in tutto il corpo, non mi muoverei di qua fino a quando non coglierò il frutto, il quale sta nel tuo giardino: lo desidero dalla sera al mattino.

Di quel frutto non ne gustarono né conti, né cavalieri, molti lo desiderarono marchesi e giudici, ma non riuscirono a ottenerlo: se ne andarono molto adirati. Comprendi bene cosa voglio dire? È minore di mille once il tuo avere.

Molti sono i garofani, ma non abbastanza che tu possa formare una salma; bella, non disprezzarmi se prima non mi provi. Se il vento è prua e comincia a soffiare in maniera sfavorevole, ti ricorderai queste parole, che dentro quest’anima mi dolgono molto.

Magari ti dorresti al punto da cadere tramortito, la gente accorrerebbe da ogni parte; tutti mi direbbero: «soccorri questo malnato!», non ti degnerei di porgerti la mano per tutto l’oro che possiede il Papa e il Sultano.

Dio lo voglia, vita mia, se fossi morto a casa tua! L’anima ne sarebbe consolata, che notte e giorno vagheggia. La gente ti griderebbe: «Ohi, malvagia spergiura, che hai ucciso in casa tua, traditrice!». Senza nessun indugio, toglimi la vita.

Se non ti alzi e te ne vai con la maledizione, i miei fratelli ti trovano dentro questa casa. Poco mi importa che tu ci perda la vita, che a me sei venuto a persuadere; parente o amico non potranno aiutarti.

A me non aiutano né amici né parenti: sono come un forestiero, mia cara, tra questa buona gente. Adesso si compie un anno, vita mia, che mi sei entrata nel cuore. Da quando ti vidi vestita di seta, bella, da quel giorno io sono rimasto ferito.

Ahi!, così tanto ti sei innamorato, tu Giuda traditore, come se fosse porpora, scarlatto o velluto? Anche se giurassi sul Vangelo che saresti mio marito, non potesti avermi a questo mondo: piuttosto mi getto nel profondo del mare.

Se tu ti getti a mare, donna cortese e nobile, ti seguirò lungo tutta la spiaggia, e dopo essere annegata, ti ritroverei sulla spiaggia, solo per ottenere questa cosa: con te devo congiungermi nel peccare.

Mi segno nel nome del Padre e del Figlio e di san Matteo: so che tu non sei eretico o figlio di ebrei, e tali parole non ho mai udito! Se la donna è morta del tutto, ci perdi il gusto e il piacere.

Lo so bene, mia cara: altro non posso fare. Se non mi concedi questo, lasciami almeno cantare. Fallo, mia signora, ti piaccia, che lo puoi ben fare. Ancora tu non mi ami, io ti amo molto, così mi hai preso come il pesce all’amo.

So che mi ami e anch’io ti amo di cuore nobile. Alzati e vattene, ritorna qui domattina. Se farai per me ciò che ti dico, ti amerò con cuore sicuro e fedele. Ti prometto ciò senza dubbio: tieni la mia parola, dato che mi hai in tua balia.

Nonostante ciò che dici, mia cara, non mi muovo affatto. Piuttosto prendi e scannami: prendi questo coltello nuovo. Questo fatto si può fare prima di cuocere un uovo. Esaudisci il mio desiderio, amica bella, perché l’anima e il cuore mi si intristiscono.

Lo so bene, l’anima ti fa male, come a chi ha sete. Questo fatto non si può realizzare in nessun altro modo: se non hai il Vangelo, affinché io ti dica «Giura», non mi puoi avere in tuo possesso; piuttosto prendi e tagliami la testa.

Il Vangelo, mia cara? Ma io lo porto in tasca: l’ho preso in chiesa (il prete non c’era). Su questo libro ti giuro di non lasciarti mai. Compi il mio desiderio, per favore, dato che l’anima si sta consumando.

Oh, mio signore, dato che mi hai fatto giuramento, io ardo tutta quanta. Mi offro a te, non mi difendo più. Se io ti ho disprezzato, chiedo perdono, mi arrendo a voi. Andiamocene subito a letto, dato che questo fatto ci è assegnato in sorte.