Giudice Guido delle Colonne

Nacque probabilmente a Messina (primi decenni del sec. XIII). Sappiamo soltanto che fu giudice.

     La sua attività di pubblico funzionario è documentata tra il 1243 e il 1280 da quindici atti ufficiali, sette dei quali con sottoscrizione autografa, in cui il cognome compare per la prima volta come “de Columpnis”.

     Ci sono pervenute cinque canzoni, tràdite oltre che dal citato manoscritto Vat. lat. 3793, dal Laurenziano Rediano 9, dal Palatino 418 (ora B. R. 217), dal Chigiano L. VIII. 305, dal Vat. lat. 3214, intorno alle quali non esistono rilevanti questioni attributive.

     Esse sono: La mia gran pena e lo gravoso affanno; Gioiosamente canto; La mia vita è si fort’e dura e fera; Amor, che lungiamente m’hai menato; Ancor che l’aigua per lo foco lassi.

     Dante lo cita accanto al Notaro per la canzone Amor, che lungiamente m’hai menato1 come esempio di poeti che usarono il volgare illustre (De vulgari eloquentia, I, xii, 2; II, v, 4; II, vi, 6); lo menziona nuovamente accanto a Giraut de Bornelh, Rinaldo d’Aquino, Cino da Pistoia. Infine, accanto ai maggiori poeti provenzali, francesi, stilnovisti, per la canzone Ancor che l’aigua per lo foco lassi, come esempio di suprema constructio.

     I temi dei componimenti sono quelli tipici della poesia siciliana, per la maggior parte, di derivazione occitanica.

     Ad altissimo livello si pone la canzone che piacque a Dante, Ancor che l’aigua per lo foco lassi, con una tematica che preannunzia Al cor gentil di Guinizzelli.

     La tecnica che caratterizza il breve canzoniere pone il poeta come tramite di una linea che, muovendo da Arnaut Daniel, arriva alle Rime Petrose di Dante. Il linguaggio poetico, ricco di immagini e l’intensa meditazione sull’amore, condotta con la netta consapevolezza della potenza mortale della passione amorosa, lo collocano come ideale anello di congiunzione tra la lirica d’amore occitanica e lo Stilnuovo, quasi un “primo Guido”.

Testi