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Federico II

Dolce lo mio drudo

IBAT 18.2 = 19.1

“Congedo in forma di contrasto” fra una donna innamorata e il suo uomo che, probabilmente, parte per la guerra. L’ultimo a parlare è il cuore di lui, che non vuole separarsi dall’amata. Ma in realtà il cuore è il vero protagonista dell’intera vicenda. È l’unico componimento siciliano di cui esista un accompagnamento musicale, sebbene posteriore1.

«Dolze meo drudo, e vaténe! 

Meo sire, a Dio t’acomano, 

che ti diparti da mene 

ed io tapina rimanno. 

Lassa, la vita m’enoia, 

dolz’è la morte a vedere, 

ch’io non penso mai guerire 

membrandome fuor di gioia. 

 

II 

Membrandome che te ’n vai, 

lo cor mi mena gran guerra: 

di ciò che più disïai 

‘l mi tolle lontana terra. 

Or se ne va lo mio amore, 

ch’io sovra gli altri l’amava; 

biasmomi, dolce Toscana, 

c’e’ mi diparte lo core.» 

 

III 

«Dolce mia donna, lo gire 

Nonn-è per mia volontate, 

ché mi convene ubidire 

quelli che m’à ’n potestate: 

Or ti conforta s’io vado 

e già non ti dismagare, 

ca per null’altra d’amare, 

amor, te non falseraggio. 

         

IV 

Vostro amor è che mi tène 

ed àmi in sua segnoria, 

ca lealmente m’avene 

d’amar voi sanza falsia. 

Di me vi sia rimembranza, 

no mi aggiate ’n obria, 

c’aveste in vostra balia 

tutta la mia disïanza. 

        

Dolze mia donna, ’l commiato 

domando sanza tenore, 

che vi sia racomandato, 

ché con voi riman, mio core; 

cotal è la ’namoranza 

degli amorosi piaceri, 

che non mi posso partire 

da voi, donna, i·lleanza.» 

 

R. Antonelli, C. Di Girolamo, R. Coluccia (a cura di), I poeti della scuola siciliana, vol. 2, Milano, Mondadori (I Meridiani), 2008. 

Fabrizio De André

Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers

La celebre canzone di Fabrizio De André e Paolo Villaggio restituisce la parodia del genere lirico della “pastorella”.

 

Re Carlo tornava dalla guerra, lo accoglie la sua terra cingendolo d’allor. 

Al sol della calda primavera 

lampeggia l’armatura del sire vincitor. 

Il sangue del Principe e del Moro 

arrossano il cimiero d’identico color; 

ma più che del corpo le ferite da Carlo son sentite le bramosie d’amor. 

“Se ansia di gloria, sete d’onore 

spegne la guerra al vincitore, 

non ti concede un momento per fare all’amore. 

Chi poi impone alla sposa soave  

di castità la cintura, ahimè, è grave, 

in battaglia può correre il rischio di perder la chiave”. 

 

Così si lamenta il re cristiano, 

s’inchina intorno il grano, gli son corona i fior. 

Lo specchio di chiara fontanella  

riflette fiero in sella dei Mori il vincitor. 

Quand’ecco nell’acqua si compone, 

mirabile visione, il simbolo d’amor: 

nel folto di lunghe trecce bionde 

il seno si confonde ignudo in pieno sol. 

“Mai non fu vista cosa più bella, 

mai io non colsi siffatta pulzella” 

disse Re Carlo scendendo veloce di sella. 

“Deh, cavaliere non v’accostate! 

Già d’altri è gaudio quel che cercate. 

Ad altra più facile fonte la sete calmate.” 

 

Sorpreso da un dire sì deciso, 

sentendosi deriso, Re Carlo s’arrestò. 

Ma più dell’onor poté il digiuno, 

Fremente l’elmo bruno il Sire si levò. 

Codesta era l’arma sua segreta 

da Carlo spesso usata in gran difficoltà. 

Alla donna apparve un gran nasone, 

E un volto da caprone, ma era sua maestà. 

“Se voi non foste il mio sovrano”, 

Carlo si sfila il pesante spadone 

“Non celerei il disio di fuggirvi lontano. 

Ma poiché siete il mio signore” 

Carlo si toglie l’intero gabbione 

“debbo concedermi spoglia da ogni pudore”. 

 

Cavaliere egli era assai valente 

Ed anche in quel frangente d’onor si ricoprì; 

e giunto alla fin della tenzone, 

incerto sull’arcione tentò di risalir. 

Veloce lo arpiona la pulzella 

repente una parcella presenta al suo Signor. 

“Deh, proprio perché voi siete il sire 

fan cinquemila lire: è un prezzo di favor!” 

“È mai possibile, oh porco di un cane, 

che le avventure in codesto reame 

debban risolversi tutte con grandi puttane. 

Anche sul prezzo c’è poi da ridire, 

ben mi ricordo che pria di partire 

v’eran tariffe inferiori alle tremila lire.” 

 

Ciò detto agì da gran cialtrone, 

con balzo da leone in sella si lanciò. 

Frustando il cavallo come un ciuco, 

fra i glicini e il sambuco, il Re si dileguò. 

 

Re Carlo tornava dalla guerra,  

lo accoglie la sua terra cingendolo d’allor. 

Al sol della calda primavera  

lampeggia l’armatura del Sire vincitor. 

 

Album: Vol. I, 1967. 

Testo: Fabrizio De André – Paolo Villaggio.  

Musica: Fabrizio De André 

Fila la lana

La versione originale trae spunto dalla canzone di Malbrough S’en va-t-en guerre (canzone popolare francese del XV secolo). 

 

Nella guerra di Valois  

il Signor di Vly è morto. 

se sia stato un prode eroe  

non si sa, non è ancor certo. 

ma la dama abbandonata,  

lamentando la sua morte,  

per mill’anni e forse ancora  

piangerà la triste sorte. 

 

Fila la lana, fila i tuoi giorni  

illuditi ancora che lui ritorni. 

Libro di dolci sogni d’amore  

apri le pagine al suo dolore. 

 

Son tornati a cento e a mille  

i guerrieri di Valois, 

son tornati alle famiglie  

ai palazzi alle città. 

ma la dama abbandonata  

non ritroverà il suo amore  

e il gran ceppo nel camino  

non varrà a scaldarle il cuore. 

 

Fila la lana, fila i tuoi giorni  

illuditi ancora che lui ritorni. 

Libro di dolci sogni d’amore  

apri le pagine al suo dolore. 

 

Cavalieri che in battaglia  

ignorate la paura,  

stretta sia la vostra maglia 

ben temprata l’armatura. 

al nemico che vi assalta  

siate presti a dar risposta,  

perché dietro a quelle mura  

vi s’attende senza sosta. 

 

Fila la lana, fila i tuoi giorni,  

illuditi ancora che lui ritorni. 

Libro di dolci sogni d’amore  

chiudi le pagine sul suo dolore. 

 

Testo: Fabrizio De André.  

Album: Canzoni, 1974 

Il re fa rullare i tamburi

Adattamento di una canzone popolare francese del XIV secolo. 

 

Il re fa rullare i tamburi,  

il re fa rullare i tamburi,  

vuol sceglier fra le dame  

un nuovo e fresco amore.  

Ed è la prima che ha veduto  

che gli ha rapito il cuore. 

 

“Marchese, la conosci tu, 

marchese, e la conosci tu,  

chi è quella graziosa?” 

Ed il marchese disse al re: 

“Maestà, è la mia sposa”. 

 

“Tu sei più felice di me,  

tu sei più felice di me  

d’aver dama sì bella  

signora sì compita.  

Se tu vorrai cederla a me  

sarà la favorita.” 

 

“Signore se non foste il re,  

signore se non foste il re  

v’intimerei prudenza.  

ma siete il sire, siete il re,  

vi devo l’obbedienza.” 

 

“Marchese vedrai passerà,  

marchese vedrai passerà  

d’amor la sofferenza.  

Io ti farò nelle mie armate  

Maresciallo di Francia.” 

 

“Addio per sempre mia gioia,  

addio per sempre mia bella,  

addio dolce amore.  

Devi lasciarmi per il re  

ed io ti lascio il cuore.” 

 

La regina ha raccolto dei fiori,  

la regina ha raccolto dei fiori,  

celando la sua offesa.  

Ed il profumo di quei fiori  

ha ucciso la marchesa. 

 

Testo: Fabrizio De André.  

Album: Volume 3, 1968

Franco Battiato

Medievale

Il testo del ritornello del componimento è “tratto” alla lettera dal rimatore “toscano-siculo” Bondie Dietaiuti.

Sdraiato su un’amaca 

A prendere il sole, 

Leggendo un libro 

Di poesia medievale. 

 

Amor quando mi membra 

Li temporal che vanno 

Che m’han tenuto danno 

Già non è maraviglia s’io sconforto. 

Però ch’allor mi sembra 

Ciascuna gioia affanno 

E lealtate inganno 

E ciascuna ragion mi pare torto. 

 

Un fascio di sedici sogni 

Incorona le notti e i riposi. 

Un balzo di tigre inquieta 

Mi sveglia al giorno. 

 

E paremi vedere 

Fera dismisuranza 

Chi buon’uso e leanza 

Voglia a lo mondo già mai mantenere; 

Poi che ’n gran soperchianza. 

Torna per me piacere, 

E ’n gran follia savere, 

Per ch’io son stato, lasso, in gran erranza. 

 

Bondie Dietaiuti 

(IBAT 9.1) 

 

 

 

Amor, quando mi membra 

li temporal’ che vanno, 

che m’àn tenuto danno, 

già non-è maraviglia s’io sconforto, 

però ch’alor mi sembra 

ciascuna gioia affanno 

e lealtate inganno 

e ciascuna ragion mi pare torto. 

(vv. 1-8) 

 

 

 

 

 

E paremi vedere 

fera dismisuranza, 

chi buono uso e leanza 

voglia a l[o] mondo già mai mantenere; 

poi che ’n gran soperchianza 

torna per me piacere, 

e ’n gran follia savere, 

per ch’io son stato, lasso, in gran erranza. 

(vv. 9-16) 

Testo: Franco Battiato – Manlio Sgalambro              

Album: Fleurs, 1999.

R. Antonelli, C. Di Girolamo, R. Coluccia (a cura di),
I poeti della scuola siciliana, vol. 3, Milano,
Mondadori (I Meridiani), 2008.