Dai Normanni a Federico II

     Benché gruppi d’avventurieri provenienti dalla Normandia si fossero già stanziati in Italia meridionale, la sua conquista fu avviata e condotta a compimento da Roberto il Guiscardo (1015-1085) e Ruggero (1031-1101), figli di Tancredi d’Altavilla. 

     Nel 1059 Roberto, per legittimare il proprio potere, accetta la subordinazione feudale e religiosa al papa, Niccolò II. 

     Particolarmente lenta, e condotta perlopiù da Ruggero, fu la conquista della Sicilia, indebolita dalla frammentazione politica in piccoli emirati indipendenti e in guerra tra loro, protrattasi dal 1061, caduta di Messina, al 1091, caduta di Noto. La creazione e il potenziamento della flotta, frattanto, assecondano le campagne militari di Roberto contro i Balcani e l’impero bizantino. 

     Conclusa la conquista, Roberto diviene duca di Puglia, Ruggero conte di Calabria e Sicilia.

Papa Nicolò II conferisce la corona ducale a Roberto il Guiscardo Immagin e tratta dalla Nuova Cronica di Giovanni Villani (12 76 - 1348 ) , Chig.L. VIII.296

     Nel 1098 a Ruggero sono riconosciute da papa Urbano II prerogative eccezionali, poi confermate ai suoi successori, di legato apostolico sulla sola Sicilia, in via di ricristianizzazione e di riorganizzazione in diocesi, i cui vescovi sono potenti signori feudali.     

     L’infeudamento, a beneficio di signori e vescovi francesi o provenienti dall’Italia settentrionale, si associa, nell’isola, a un saldo potere centrale e a immense aree demaniali. 

     A un primo sostegno della componente culturale greca, ampiamente presente, oltre che in Calabria, nella Sicilia nord-orientale, si accompagna e subentra poi la latinizzazione della lingua e del rito. L’amministrazione, erede in parte della precedente musulmana, e il notariato restano a uomini di lingua araba e greca. 

     Con Ruggero II (1095-1154), figlio di Ruggero I, l’asse del potere normanno si sposta definitivamente dalla Calabria e dalla Sicilia orientale a Palermo, che ne diviene capitale. Questi riesce, con una campagna militare fondata su pretese ereditarie, a unificare l’intero Meridione, annettendo i domini già di Roberto, aventi a confine settentrionale i fiumi Tronto e Garigliano, per poi incoronarsi re a Palermo nel 1130. 

     Pur uniformandosi ai principi del padre nel permettere che i vari gruppi dei suoi sudditi fossero governati da diversi sistemi giuridici, Ruggero pubblica un codice di leggi che si applica a tutte le popolazioni eterogenee del Regnum

     Benché la latinizzazione procedesse inevitabilmente, la Sicilia è uno straordinario crocevia culturale latino-greco-arabo, secondo una multiculturalità incoraggiata e, per certi versi, forgiata dal re stesso, come dimostrano la produzione poetica in lingua araba o, tra i monumenti, la Cappella Palatina di Palermo o la cattedrale di Cefalù o ancora la chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, meglio nota come Martorana, fondata a spese del potente e leale Giorgio di Antiochia. 

     Il regno di Guglielmo I (1120-1166), assai poco elogiato dalle fonti coeve, si impone, con una rinnovata stabilità, con il figlio, Guglielmo II (1153-1189), che perviene a un nuovo equilibrio con i suoi feudatari. 

     La fondazione della cattedrale di Monreale e il compimento dei palazzi suburbani della Zisa e della Cuba si collocano nel solco della politica culturale di Ruggero II, sia pure entro un orizzonte via via sempre più latino e francese. 

     Gli anni successivi alla sua prematura morte, segnati da scontri tra parti filo-normanne e filo-sveve, si concludono proprio con l’incoronazione a re di Sicilia di Enrico VI di Svevia (1165-1197), imperatore del Sacro Romano Impero dal 1191, che vantava pretese sul Meridione in qualità di marito di Costanza, figlia di Ruggero II. 

     Con Enrico la Sicilia perde l’assoluta centralità di cui aveva goduto durante il regno normanno, per essere assorbita nel più vasto organismo politico svevo. 

     Federico II (1194-1250), figlio di Enrico e Costanza, rimasto orfano nel 1198, rimane sotto la tutela di papa Innocenzo III. Raggiunta la maggiore età nel 1208 e divenuto re di Germania nel 1212 e imperatore del Sacro Romano Impero nel 1220, viaggia senza posa tra Italia e Germania, ma è presente con una certa continuità in Sicilia proprio dopo il 1220, quando ricostituisce un forte potere centrale, reintegrando l’immenso demanio regio frattanto usurpato, confermando i privilegi già concessi dai suoi predecessori a chiese e monasteri e ridimensionando il cresciuto potere dei baroni con il rimarcarne la subordinazione feudale al sovrano. 

     In quest’ottica, nel Meridione e in Sicilia sono fondati imponenti castelli demaniali, debitori di schemi orientali – Federico è divenuto intanto re di Gerusalemme nel 1225. I castelli privati eretti dopo la morte di Guglielmo II sono invece demoliti: la fortificazione diviene prerogativa regia. I castelli sono dunque strumento di dominio sulle città, per esempio Catania e Siracusa, alle quali non è concessa alcuna forma di autogoverno, nulla di paragonabile ai liberi comuni dell’Italia centro-settentrionale. 

     La sottomissione delle città operata da Federico impedisce la formazione di una classe di mercanti o di amministratori indipendente, abbastanza incisiva da controbilanciare l’aristocrazia terriera. Sono le città straniere – Pisa, Genova, Venezia, Amalfi, Lucca – a dominare il commercio in Sicilia. 

     L’imperatore fonda un’università statale a Napoli per la formazione di giuristi e amministratori e proibisce tanto agli studenti quanto ai professori del Regno di frequentare scuole straniere. Giurista di spicco, poi divenuto logoteta e protonotario, è Piero Della Vigna, tra gli autori del Liber Augustalis (1231); un codice che, memore della precedente legislazione normanna, la sistematizza e, per certi versi, ne amplia la portata, configurandosi come documento costitutivo dell’assolutismo imperiale. 

     Le monete federiciane, di nuovo conio, vengono chiamate augustales e il loro disegno è ispirato da quelle dell’antica Roma. 

     Federico incoraggia l’agricoltura, le industrie della seta e dello zucchero, anche grazie a uomini esperti provenienti dall’estero. 

     Malta è ripopolata e italiani del nord e greci sono indotti a stabilirsi nelle zone spopolate della Sicilia. Tuttavia, il provvedimento più brutale è il trasferimento di molte migliaia di musulmani sul continente. Beninteso, Federico attacca gli arabi di Sicilia in quanto ribelli, non a causa della loro religione. La sua azione, tuttavia, non impedisce agli stati musulmani del Nord Africa di continuare a intrattenere con lui rapporti cordiali e mercantili. 

     Non stupisce pertanto che i papi lo considerassero una sorta di “sultano battezzato”, quando non addirittura l’incarnazione dell’anticristo, tanto più che Federico resiste alla pretesa dei pontefici di intervenire negli affari temporali del Regno e il suo impero accerchia gli Stati pontifici sia da nord che da sud. Anche per questo motivo è ripetutamente scomunicato. 

     L’imperatore nutre un particolare interesse per gli animali: importa cavalli da incrociare con ceppi domestici e falchi dall’Irlanda, dalla Bulgaria e dall’India, chiamando a corte anche esperti di uccelli dall’oriente. Un interesse che confluisce nel suo preziosissimo trattato latino, il De arte venandi cum avibus

     La corte federiciana è anche un vivace centro di attività letteraria: l’imperatore è fautore di una letteratura poetica nazionale in siciliano. I poeti apprendono dai provenzali l’arte di poetare. La nuova poesia e la nuova lingua hanno le loro origini nella Provenza. Del resto, molti francesi vivono abitualmente in Sicilia portando con sé le tradizioni letterarie della propria patria. 

     Tra i giuristi del seguito di Federico, c’è Giacomo da Lentini, promotore di una lirica amorosa che conserva ancora la sua matrice provenzale. La lirica di Giacomo, così come degli altri poeti di corte, divenne la prima attestazione di poesia in volgare in Sicilia. La Scuola poetica siciliana è pertanto creazione deliberata di un re mecenate che non solo scrive poesie per il proprio piacere, ma che cerca risolutamente di fare del Regnum una comunità unica, con una propria cultura e una letteratura propria. 

Bern, Burgerbibliothek, Cod. 120.II: Petrus de Ebulo: Liber ad honorem Augusti, lat., f 120r ( https://www.e - codices.unifr.ch/it/list/one/bbb/0120 - 2 ).