Il notariato nella Sicilia medievale
La società siciliana medievale presenta una struttura piramidale in cui la forza e l’autorità politica sono estremamente concentrate. L’aristocrazia militare feudale possiede la terra da coltivare (Val di Mazara, Val di Noto, Valdemone) e i borghesi, cioè gli abitanti delle terre e dei casali capaci di mettere su uno o più aratri, non sono, di solito, proprietari di terreni vasti adatti alla cerealicoltura; possiedono solo la casa e la vigna, oltre il capitale mobile di buoi e di attrezzi che costituisce la “masseria”.
Nella città, l’aristocrazia feudale, che di solito vi risiede, divide la sua influenza con una nobiltà civica eterogenea, comprendente burocrati, imprenditori agricoli, mercanti e giuristi: tutti possessori di capitali. Sono spesso mercanti d’olio e di vino, tutti i ricchi di censo, di case, di magazzini: la loro ambizione si diparte in due vie: quella dell’Università di Bologna, dove acquistare per i figli il titolo prestigioso di Dottore in legge; l’ingresso, tramite un matrimonio o la compra di un feudo, nell’ambiente ristretto dell’aristocrazia feudale.
Punti d’appoggio stabili di questa classe in costante, ma lenta ascesa, furono i Capitoli delle Cattedrali, l’amministrazione regia, i Consigli municipali di giudici e giurati. I mezzi dell’ascesa furono: l’affitto delle gabelle regie o municipali, la gestione della giustizia, l’avvocatura per conto dei feudatari (o degli istituti religiosi), il servizio del re o dei potenti feudatari.
Una struttura stabile, dominata dai privilegi aristocratici, lascia poco spazio alla mobilità sociale; favorisce, intorno alle grandi famiglie, il fiorire di un ceto di intellettuali, tra cui i notai sono i più favoriti.
La conquista militare della Sicilia da parte di una società feudale, quella Normanna, ridotta e isolata in seno a una popolazione isolana culturalmente progredita, lasciava i dominatori nella dipendenza dei vinti riguardo ai compiti di amministrazione e di registrazione dei dati fiscali e feudali. Prima del 1150, si conoscono pochissimi notai latini e l’essenziale del personale al servizio dei Normanni è greco o arabo. Sono testimoniati, attraverso gli archivi ecclesiastici, numerosi notai greci, mentre i primi notai latini appaiono solo dopo il 1130.
La società ellenica di Sicilia, raccolta intorno alla sua capitale Demenna (forse San Marco d’Alunzio, nell’entroterra messinese) esaltava il gusto delle lettere, come testimonia il doppio titolo di “milite et notario” conferito a un certo Theodorus, nel 1100 circa, a Milazzo.
Chiaramente, per queste famiglie di notai di Corte, l’evoluzione ulteriore, dai Normanni agli Svevi, fino agli Aragonesi, segna un lungo, inesorabile declino. Il potere viene gestito sempre di più da amministratori di origine amalfitana o pugliese, vicini all’imperatore Federico, più ricchi e dunque più capaci di comprare le gabelle dello Stato e di gestirle, più vicine anche nuovi studia, come l’Università di Napoli.
La Sicilia di quei secoli si presenta come un mondo complesso e ambiguo: legami con i ceti inferiori della nobiltà, apertura all’ascesa sociale di elementi modesti, tradizione indigena e immigrazione. La sua unità proviene, oltre che dalla funzione collettiva di registrazione e conservazione degli atti giuridici, dalla comune cultura giuridica che apre ai notai eccezionali possibilità di arricchimento e di autorità.
La salita di nuove famiglie della nobiltà civica permette la divisione dei figli tra mercanzia e milizia o, ancora, l’emergere, nel ceto notarile, di famiglie che vengono poi decorate dal grado dell’aristocrazia militare.
In questa distinzione tra nobiltà civica, divisa tra cavalleria e mestiere della penna, troviamo molte famiglie del patriziato messinese, fin dagli ultimi decenni del ‘200, appartenenti alla tradizione greca. Altre famiglie appartengono al ceto di amministratori e soldati sviluppatosi intorno alla monarchia Sveva. L’emergere di famiglie nobili in parte dedicate al tabellario si verifica a Catania, Lentini e a Palermo.
In mancanza di una università isolana, il vecchio centro di cultura messinese godeva di un vantaggio notevole sulle altre città del Regno: i notai messinesi sciamano in tutte le contrade dell’isola, al servizio della gran Corte. Queste migrazioni determinano un vero spostamento di giuristi al servizio del pubblico o delle corti di giustizia.
Intellettuale recettivo alle idee di un mondo internazionale, il notaio scriveva in siciliano con gusto e cultura classica: la lingua degli atti mostra una qualità che la rende illustre. Classe aperta e intermedia, il notariato siciliano rappresentava uno degli elementi mobili di una società sempre più bloccata.
La cultura dell’ambiente notarile, anche nella sua dipendenza da modelli esteriori, nel suo relativo arcaismo, rispecchia la subalternità e la dialettica dell’intellettuale organico, in bilico tra un futuro radioso e bisogni culturali repressi.